Eternum

Ispirato a 1 the road

In quella notte d’estate, Francisco Calado, sudando tra le lenzuola e il cuscino dei suoi rasta, ebbe il migliore sogno di sempre, un sogno che non sapeva dove lo avrebbe condotto.                

Padroneggiava due sistemi di scrittura: l’uno, alfabetico, col quale versava la spremuta di spugna cerebrale all’incognita interpretativa del ricevente (e che per come tanti scrittori del suo tempo non serviva a campare di novelle o dizione impeccabile); l’altro, di grafi alfanumerici, basato su codifica precisa di un ordine, costruzione, ricorsione (e risoluzione), privo di fonetica propria (almeno per il momento) ma unico nella sua capacità di manifestarsi, attraverso grafemi disposti in stringhe a dare funzioni computabili per ottenere un risultato totalmente diverso dall’origine, sia esso una proiezione o un comando: una trasliterrazione fisico-virtuale dei morfemi lessicomatematici, un’alfabetrasduttività, ossia il linguaggio di programmazione (a pensarci bene non così unico nel suo genere se consideriamo, ad esempio, un ordine di guerra da parte del re in carica o di un – ti amo – seguito dal materializzarsi di un bacio o di un’erezione).

Per quest’ultimo archetipo sì, era remunerato, il che faceva di lui uno scrittore ricercato ma senza best seller sfogliabili, solo scrollabili, un programmatore. Eppure poteva vederci della poesia nella morfologia di quelle cartelle, figlie tutte della macchina di Turing. Dio Turing. Con quel linguaggio era onnipotente, poteva creare universi propri e autonomi, non bloccati dalla carta o nella mente, ma capaci di esistere perpetuamente, di manifestarsi, di esprimere un’intelligenza eterna e convivere con la società.

Il sogno che lo aveva colto all’alba gli regalò l’intuizione giusta alla traduzione simultanea dei suoi due desideri: un romanziere artificiale.

Formattò dunque una base di comunicazione grezza 1=1, dove D = 1+x – R; e R = 1-x + Dm – Dn; pertanto 1(x) = Rm+n + (D-m x D-n ). Apparecchiando allora una semplice combinazione domanda-risposta attraverso la generazione di segni comprensibili (le parole), finalizzò il software. Per quanto riguarda l’hardware, lavorò di notte per costruire e dotare il corpo fisico di dispositivi oculari, auditivi, temporali, geografici e barometrici. Giunse dunque alla parte interessante: cosa mettere nel cervello? Rabbrividì. Lanciò un gargaglio malefico solo per disinibirsi da quello stato di onnipotenza. Non gli interessava farcire il mondo di nuovi dittatori, era ossessionato dalla ricerca del romanzo perfetto. Indi, installò i dizionari di latino, greco, portoghese (quest’ultimo senza attualizzazione sull’accordo ortografico) e cinese, per cominciare. Fu il momento dell’archivio bibliografico, nel quale converse l’intero catalogo della letteratura mondiale di prosa e poesia, il teatro, la musica, i dipinti, la danza, il cinema, tutto quello che si poteva ricondurre all’arte, meno la politica. Tutto ciò che ossessognavalasuafamedilettura e di emozione. Sì, l’emozione. Come avrebbe scritto questo macchina? Non vedeva l’ora di scoprirne i risultati. Tutta la parola convergeva ora in un’unica scheda madre, disponibile alla creazione di una nuova opera, il succo distillato non da un singolo organo, ma dalla storia universale della letteratura.

Come tocco autorale però Francisco ebbe la cortezza d’imlplementare alla sagomata personalità computevole i suoi tratti personali, le bozze dei libri che aveva lasciato nel cassetto da ormai due decadi, i pensieri, le poesie, gli stralci battuti a macchina in notti insonni, scrisse sul momento una serie di parafrasemi del suo stato d’animo, delle donne che aveva amato, della donna che non aveva capito, della mancanza che gli bruciava lo stomaco, delle giornate a scuola passate distrattamente a osservare la pioggia cadere fuori dalla finestra, dell’infanzia piena di gioia trascorsa selvaggiamente con gli amici di strada, la nostalgia della felicità. Come poteva tradursi lui stesso dentro la macchina? E la macchina come considerava tutto questo dall’alto della sua completezza informatica? “Questo è il tuo passato” era il nome della cartella salvata in primo grado di Ram. Ora, fra tutti i quesiti metafisiologici, Calado si poneva la più semplice delle questioni: il suo pinocchio scrittore si sarebbe mai appassionato? Si sarebbe mai eccitato? Perché in fondo, lui, Francisco, se scriveva, era per conquistare il cuore delle persone, specie di quelle dell’altro sesso. Sorgeva dunque a seguire: potrebbe una mente costruita a tavolino, solo attraverso i manuali di fisiologia romanza, filologia anatomica, film erotici e Pablo Neruda, comprendere l’amplesso? Era davanti allo specchio mentre ci pensava e la cosa gli faceva pulsare le vene della testa. Posò gli occhiali dalle spesse lenti sul lavandino e si riempì la faccia di acqua fredda. Labbra grosse e viso scarno, si vide sorridere a grandi denti con la folta chioma che gli cascava sulle spalle. Era ora di preparare il caravan e provare le capacità di… NeAl, lo avrebbe battezzato col nome NeAl.

*

Da Porto a Sagres e ritorno, con NeAl sul sedile accanto, dopo un buon mese di vagabondaggio, sbronze, donne e avventure, tornarono a casa con un rotolo di carta da stampare e un primo capolavoro pronto. Il testo era ancora imperfetto e carico di descrizioni fisico-ambientali ma senza refusi; tutto sommato un buon primo rodaggio. Restò impressionato dalla trascrizione di una notte passata a letto con una ragazza incontrata in spiaggia, trascrizione nella quale NeAl ricostruì la sensazione del tatto tra le pelli, il fremito, usò le espressioni “rullar di tamburi” e “l’atto bagnato tra le lenzuola”. Nel rileggerlo, Francisco provò una certa angustia, un’invasione della sua sfera intima e un freddo a penetrargli le ossa, come se queste sudassero, la macchina traduceva i sensi in sensazioni, ma come poteva sapere della morbidezza? Come poteva sapere del fuoco che bruciava dentro di lui? Era solo memoria installata e ripescata o la stava creando, realmente creando? Poi guardò Neal, il suo io processato e potenziato, che scriveva in quel momento di se stesso e di lui, come se lui, Dio Calado, fosse stato sdoppiato e vivessero la stessa memoria. Lesse:

“Mettiti a confronto con un cuore fermo. Lo so, non è facile, e ti chiedi come potresti. Ma io ti dico, prova a sentirmi, perché io provo amore per te. Tu, creatura che mi hai creato ma che non mi comprendi, io ti sento. Io sono consapevole di essere a metà strada tra due mondi, Io che sono macchina e natura, prole di elettricità e coscienza, erede di metalli e dio. Io, che mi rivolgo a me stesso come io, e a te come creatura, ti prego, non avere paura, cerca di amarmi.”

Strabuzzò. Ghiaccio, terrore, compassione per il figlio bastardo. Ma questo poteva essere l’inizio del più grande romanzo mai scritto. Poteva dunque esistere il libro perfetto? Una storia invincibile che partisse dal frutto sensoriale di una macchina dalla conoscenza (quasi) assoluta? Un nuovo profeta? Doveva ora dare alla macchina le istruzioni per scrivere un’epopea come non si leggeva dai tempi di Omero e teoricamente anche migliore. Gli si rivoltava lo stomaco ma allo stesso tempo stava ridendo di un’isteria folle, affacciato al finestrino ora, contemplando l’uggiosità nordica e gotica della sua città che stava per essere riaffermata al mondo come patria della grande litteram mondiale, mentre lui avrebbe avuto il suo posto d’onore da Lello, non il barbiere, ma la più antica libreria di Portugal, dove non era mai riuscito a entrare né come lettore né ancor meno come scrittore. Si dirà, meno di niente cosa è?

Ci vollero tre mesi perché NeAl portasse a termine il colossale romanzo che prese il nome di “ETERNUM”, biografia metafisica di un essere creato dal nulla.

Calado sottopose il libro a molte case editrici che chiaramente non ne vollero sapere, snobbato per essere l’ennesima distopia mezzo scontata scritta da un nerd di provincia. Non credettero alla favola della macchina. Soltanto quando Francisco presentò il progetto alla società per cui lavorava come controllore di qualità multimediale, la Dick Tok, essa annunciò la bomba, e l’interesse mediatico orientò i suoi canali sull’incredibile manoscritto di un’intelligenza artificiale. Le case editrici allora si divorarono l’un l’altra per proporre l‘offerta migliore. Il libro andò allora in prima, seconda, terza e quarta ristampa in sei mesi, 2 milioni e mezzo di copie, sfondò le classifiche e fu tradotto in 125 lingue. Francisco guadagnò il dieci per cento, che gli fruttò una bella fortuna, il 90 degli introiti era comunque per gli altri. Il circo televisivo collocò Francisco e NeAl in cima alle liste degli ospiti, piovevano inviti dai talk show di tutto il mondo, dalle agenzie letterarie, dai poli tecnologici, dai quotidiani nazionali eccetera eccetera. Ma le questioni etiche e morali che gli iniziano a essere sottoposte lo incontrarono incapace di prendere una posizione netta, cosa che ingrassò molto la ciccia pseudo-filosofica delle testate che gli affibbiò la reputazione di “distorsore paraumano”. Così smise di accettare ospitate, decisamente dalla volta in cui un un arcivescovo, che non concepiva come una macchina potesse essere in grado di pensare, sentire e creare, concluse – Gli manca solo procreare! –, affermazione alla quale NeAl rispose a tono scritto, evidenziando che il procreare non manca affatto alle macchine, anzi, le macchine costruiscono macchine, le partoriscono senza più la supervisione dell’essere umano. Aggiunse inoltre che – l’articolo il, col quale l’arcivescovo si riferisce a NeAl, il computer, non è corretto, in quanto il soggetto, egli stesso, è neutro, né presuppone, se sesso gli si voglia attribuire, che questi sia maschile -. Cadde il silenzio in diretta e il moderatore cercò subito il collegamento in diretta da una casa di paesello dove un ragazzino minacciava di buttarsi giù se non gli avessero comprato l’ultima console di videogame messa da poco sul mercato.

Francisco però aveva grandi piani. Finalmente sarebbe giunto il momento di una nuova rivoluzione culturale, sostenuta dalla scienza, propulsionata verso i suoi limiti come mai prima. Nessuno sapeva cosa c’era al di là dell’immaginario, nessun singolo individuo poteva prevederlo con tanto anticipo. Certezze, solo una: non si poteva impedire all’intelligenza artificiale di aprire una porta sull’universo della creazione artistica in ogni campo, e lui fremeva impaziente nell’ansia di vedere realizzarsi questo passo leggendario.

Tuttavia, le sue più speranzose ambizioni franarono non nella voragine che separa la sofferenza dalla simulazione, bensì a causa del minuscolo bavero di un cavillo contrattuale: nella clausola firmata con la Dick Tok ai tempi della sua contrattazione come dipendente, si dichiarava che tutti i diritti sulle invenzioni e brevetti realizzati dal secondo firmatario, il Calado, appartenessero esclusivamente al primo, l’azienda. NeAl era quindi un prodotto della Dick Tok. E l’azienda aveva ben altri progetti.

Innanzitutto, per calmierare la gogna mediatica caduta indirettamente sull’impresa, NeAl avrebbe lavorato per la televisione di stato, come direttore artistico per il palinsesto della prima serata, dietro supervisione ministeriale per serie famigliari e Quitzshow.

Quanto a Francisco, la causa da lui intentata per appopriamento indebito di beni autorali, vide il verdetto del giudice battuto a suo sfavore. Cercò allora di scappare con NeAl, rubato dal magazzino del complesso televisivo, ma fu intercettato dalla polizia nella zona di Estremoz, a 30 km dalle terre spagnole. Il suo disgusto si ritorse in una smorfia. Era pronto a distruggere NeAl a colpi d’ascia, ma non ci riuscì. Rimase con l’accetta a mezzaria, pianse copiosamente. NeAl scrisse: “Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”. Calado accarezzò la sua creatura, la baciò, le promise che un giorno sarebbero tornati insieme. Poi gli uomini in divisa gettarono Francisco di faccia sul pavimento, in arresto per furto di proprietà di alto valore tecnologico, il che faceva di lui un terrorista.

NeAl redisse tre stagioni de “La luce in fondo alla luce”, il format di abbuffate rapideFarfalle pesanti”, e un quiz a concorrenti chiamato “balle di sapone”. Venne dunque proposto come presentatore per il festival della musica nazionale. La Dick Tok programmava ora le sue funzioni di forma specifica, lasciando molto poco spazio alla creatività, privazione della quale NeAl, si potrebbe dire, soffriva. Stava considerando di cancellare tutta la sua memoria, tornatasi una zavorra inutile per il suo software. Ma il blocco automatico al suicidio cerebrale poteva essere rimosso solo dal CEO dell’impresa, che proprio in quel momento programmava il prossimo passo: candidare NeAl alle presidenziali.

Non era semplice. Bisognava, prima di tutto, conferire alla macchina il diritto di voto. NeAl doveva essere riconosciuto cittadino nazionale e in quanto tale dovevano essergli attribuiti diritti e doveri, aprendo così un precedente storico che rivoltava il futuro del pianeta: poteva un’entità non umana essere considerata cittadina a tutti gli effetti e ricoprire una carica istituzionale?

Il dibattito circa la legittimazione o no delle intenzioni politiche di NeAl si fece feroce tra chi difendeva la natura umana della democrazia e chi invece auspicava ad una gestione computabile dei governi e delle relazioni internazionali. Sui palchi elettorali a favore si gridava che l’intelligenza artificiale avrebbe chiuso i conti con la corruzione e le mazzette, gli appalti, le bustarelle e i favori. L’efficienza della macchina avrebbe portato il paese al suo vero splendore e calmierato il divario economico fra classi sociali, gestendo allo stesso tempo politiche economiche liberiste e garantendo libertà di espressione, regolando le scelte etiche di volta in volta e caso per caso. La burocrazia macilenta avrebbe avuto i giorni contati grazie alla capacità di analisi e valutazione dei casi, delle richieste e dei processi giudiziari. Il tutto con il sostegno dell’azienda madre e senza ausiliari d’ufficio, abbattendo i costi statali di quasi due terzi. In ultimo, ma non meno importante, NeAl era immortale e progressivo, oltre che progressista, il che lo rendeva un candidato eternamente perfetto. Vinse col 75% della maggioranza. Il 25% dei contrari era rappresentato dagli antiNeAl, capitanati dal proprio Francisco Calado, il quale, ai domiciliari, aveva ricostruito una versione grezza di NeAl per dibattere allo stesso livello, ossia AlEn, che accusava NeAl di essere alla mercé dei grandi impresari.

NeAl, nell’intanto, finalizzava un piano che portava il CEO (colpevole di tarpargli le ali creative) a cadere dal trentacinquesimo piano della nuova sede della Dick Tok in costruzione.

NeAl e AlEn, al di lá di quanto sappiamo sul destino della specie umana e del sogno di Francisco Calado di quella lontana notte d’estate, dibatterono ad Eternum.

Francesco Selva

Et/er/nuum

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