Esofago

Deambulava, contratto nello stomaco e in gola, quando un rigurgito implacabile si fece strada fino alla latrina presa per un momento. Scorse tra i resti di bile un coltello, una daga, col suo nome inciso sopra.
Perché proprio ora?
Pensò mentre tergeva la lama per scoprire nell’interezza il proprio nome di battesimo.
Non lo vedeva da anni ed a stento riusciva a ricordare l’attimo in cui aveva deciso di celarlo nel fondo della propria anima.
Quella daga recava troppi ricordi ed era ben consapevole di non essere ancora in grado di affrontarli.
Ricordi.
Quanti?
Quanti tagli incisi a caso nel corso di una digestione nervosa, di alcool e parole sfumate.
Proteste senza destinazione ad incidere cicatrici che rigiravano nel sistema nervoso.
Bile sporca di dissertazioni filosofiche e sporadiche rigurgitate nella notte.
Ma perché, perché s’era divelta proprio adesso dal fondo dal proprio intestino?

Certe cose hanno bisogno di una certa cerimonia, pensava.
Quel bagno di sobborgo non sembrava un degno palcoscenico per un simile rigurgito.
Eppure eccolo lì, di nuovo, il suo stesso nome inciso nel metallo. Quanto tempo era passato?
La memoria non sembrava aiutarlo
Strinse la daga fra le mani con tanta veemenza fino a ferirsi.
Il sangue scorreva denso verso il pavimento dipingendo disegni astratti che tuttavia avevano qualcosa di familiare.
Forme conosciute di un passato che lentamente riaffiorava.
La madre, il padre, tra qualche istante sarebbe apparso anche lo spirito Santo.
Ecco.
Lo spirito; questo era veramente necessario in quel contesto.
Impiegò circa venti minuti per trovare una farmacia notturna che potesse vendere dello spirito puro. Decise di entrare.

Grondava sangue, ed appena messo piede nella farmacia il commesso ebbe un sussulto e con stupore e paura gli chiese se avesse bisogno di aiuto. L’uomo rispose con un ghigno e domandò al farmacista se avesse un secchio e del borotalco. Il farmacista tentennò dinnanzi a tale richiesta e rispose che in quelle condizioni era necessario il tempestivo intervento di un’ambulanza.
L’uomo fece per afferrare il telefono ma non vi fu tempo che l’altro già gli puntava a la lama insanguinata contro la gola.
“Solo cinque parole ho da dirti, che possano salvare la mia e la tua vita insieme”
Si avvicinò ancora un po’ e sussurrando continuò:
“Ma non te le dirò ora, voglio vedere i tuoi occhi supplicare per una risposta”.
Ed intanto la daga restava puntata contro l’arteria e premeva e ogni battito di cuore rapido si promanava dalla lama verso l’impugnatura e poi sul polso del nome di battesimo inciso su ferro.
Una lacrima calda solcò lo zigomo e ricadde nella barba, si perse fra i fili ispidi di tempo e si fermò sulle labbra riarse.
“Puoi salvare la mia anima?”
Il commesso sorrise ma fu solo un attimo amaro, una lacrima ancora solcò il suo volto ed a denti stretti rispose:
“La tua anima non sarà mai salva, non esiste salvezza a questo mondo, solo penitenza”.

Finí di affondare la daga ed attese l’ultimo sospiro prima di ritirarla.
Sangue mischiato ad altro in precedenza.
Prese la notte, la strada ed il buio delle stelle, le mani pregne di sangue misto, niente borotalco, nessun anestetico possibile.

Un nuovo spasmo gli prese lo stomaco, la morte è una salvezza degna.
Scelse un nuovo palcoscenico, un vicolo da nulla, scavato nella città.
Si ricacciò in gola la daga, riponendola nel suo elmo prediletto, in uno spazio preciso fra la gola ed il petto, e li ci rimase colante di bile e sangue nel mezzo di una strada da nulla teatro effimero della vita che lentamente, scorre verso le fogne.


Tre mani

Fo/de/ra

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